Quando ormai mancano pochissimi giorni alla data del 24 dicembre, è chiaro come il processo politico in Libia – avviato nell’ambito del Libyan Political Dialogue Forum (Lpdf), sotto l’egida delle Nazioni Unite – abbia perso completamente la rotta e sia prossimo al collasso. Il rinvio, ormai certo ma non ancora ufficializzato, rappresenterà un duro colpo alle speranze della comunità internazionale di riconciliare il paese e accompagnarlo fuori dall’ultradecennale caos. Al contempo, esiste il timore generale che lo slancio e la “voglia” di democrazia possa morire assieme al voto del 24 dicembre, sostituiti da un ritorno alla politica delle armi che ha caratterizzato il conflitto fratricida nell’ultimo scorcio di storia libica. Collegata a quest’ultima questione, resta da risolvere il futuro del Governo di unità nazionale (Gnu) – che dovrebbe concludere la sua esperienza proprio il giorno delle elezioni. Verrà prolungato il mandato di Abdulhamid Dbeibah a capo dell’esecutivo, sempre meno apprezzato dagli attori politici, o verrà formato un nuovo governo di unità nazionale col compito di accompagnare il paese alla prossima data elettorale?
Sia il voto presidenziale che le elezioni parlamentari (queste ultime dovrebbero svolgersi in contemporanea con il secondo turno delle presidenziali) sono il fulcro del programma onusiano per supportare la ricerca della stabilità definitiva nel paese nordafricano, ma il calendario e l’intero progetto sono stati messi sotto pressione dalle continue tensioni tra le fazioni rivali. Tensioni che riflettono il precario equilibrio esistente tra le istituzioni e i centri di potere, ancora oggi, divisi nell’ex colonia italiana. Molti sono i problemi strutturali del paese che necessitano di una soluzione definitiva, come molti sono i dubbi sulla maggior parte dei candidati considerati favoriti alla vigilia del voto. Su tutti, il premier in carica Dbeibah, il generale Khalifa Haftar e il figlio dell’ex leader Saif al-Islam Gheddafi. Una serie di sentenze ha ribaltato le decisioni dell’Alta commissione elettorale libica (Hnec) di impedire ai candidati citati di correre per la presidenza, ma tutti i giudizi sono stati successivamente impugnati e ribaltati. Oltre a ciò, rimane sempre aperta la questione dei mercenari e dei militari stranieri presenti sul territorio libico, nonostante le continue richieste da parte della comunità internazionale di lasciare il paese. Quest’ultimo punto mette d’accordo la maggior parte dei paesi occidentali. Stati Uniti e Francia concordano sulla necessità di un governo eletto che sia in grado di espellere i mercenari russi e turchi dal suolo libico. In occasione della conferenza internazionale sulla Libia, svoltasi a Parigi lo scorso 12 novembre, il presidente francese Emmanuel Macron era stato chiaro: “Turchia e Russia devono ritirare senza indugio i loro mercenari”. Ma dopo oltre un anno dall’accordo di Ginevra dell’ottobre 2020 – che ha messo d’accordo le due fazioni rivali sul cessate il fuoco e che prevedeva l’uscita in tempi rapidi dalla Libia di tutti i militari stranieri – alle parole non sono seguiti i fatti.
Il processo ha mostrato chiaramente tutte le sue lacune: una legge elettorale non accettata da tutte le parti e un quadro costituzionale tutt’altro che definito. Un sistema basato su una bozza di Costituzione del 2017, approvata dall’allora Assemblea costituente, ma respinta dalla Camera dei rappresentanti (HoR) di Tobruk e da alcune minoranze. Una Carta, strutturata sulla Sharia, che, oltre a non chiarire ruoli e potere delle varie cariche governative, ha creato grandi delusioni in tema di diritti umani in gran parte della popolazione. Secondo molti osservatori, infatti, rappresenta un passo indietro nella lotta per l’uguaglianza, soprattutto di genere. La Dichiarazione costituzionale provvisoria che è stata emessa nell’agosto 2011 (e le sue successive modifiche) è, quindi, l’unico documento costituzionale attivo in Libia. Mesi e mesi di negoziati mediati dall’Onu non sono serviti alla creazione di una base giuridica per le elezioni. Il Lpdf ha tentato di risolvere i disaccordi tra le due istituzioni legislative libiche, l’HoR eletto nel 2014 da una parte e l’Alto consiglio di stato (Hsc) dall’altra. Ma non è stata concordata una tempistica specifica per un referendum costituzionale in preparazione delle elezioni. Successivamente, la legge n. 1 del 2021 per l’elezione del Presidente dello Stato e le sue competenze è stata emessa il 9 settembre 2021, con il sostegno unilaterale dell’HoR, senza nessuna consultazione con altri organismi. In effetti, Khalid Al-Mishri, presidente dell’Hsc, aveva espresso le sue preoccupazioni sullo svolgimento delle elezioni presidenziali senza una Costituzione necessaria a evitare un “possibile colpo di stato in Libia” in caso di mancata accettazione del risultato da parte dei vinti. Con la stessa formula (nessuna consultazione tra istituzioni), il 4 ottobre 2021 è stata emanata la Legge n. 2 del 2021 relativa alle elezioni parlamentari.
Altra grave questione che necessita una soluzione rapida è l’unificazione dell’apparato militare e di sicurezza del paese. L’assenza di una spinta internazionale per la riforma del settore della sicurezza è stata una delle principali lacune del progetto politico delle Nazioni Unite. La comunità internazionale ha per troppo tempo fatto affidamento sulla Commissione militare congiunta 5+5 (composta da cinque ufficiali militari dell’Lna di Haftar e cinque rappresentanti della Tripolitania e dell’allora Governo di accordo nazionale). Tale gruppo nell’ultimo anno si è impegnato nel dialogo e nella cooperazione: scambi di prigionieri, comunicati congiunti per la dipartita dei mercenari e militari stranieri. Ma, al di là di tali azioni, la JMC 5+5 non sembra essere sufficientemente attrezzata per traguardare un obiettivo importante come quello di una riforma di tale portata, soprattutto in uno scenario, come quello di queste ultime settimane, in cui i dubbi sul futuro del paese regnano in tutti gli ambiti.
Mentre a livello nazionale sembra esserci quindi un vero stallo, la situazione a livello locale è molto più mobile. Le milizie si sono impegnati a evitare quella situazione conflittuale che ha caratterizzato il recente passato, ma nonostante ciò non sono mancati episodi di scontri violenti. Ad oggi il quadro dei gruppi armati con sede nella regione occidentale è guidato da imperativi clientelari e dall’attore straniero di turno (Turchia e Qatar su tutti) che modella il comportamento dei gruppi per propri fini; viceversa, l’Lna di Haftar e le milizie a esso affiliate hanno ben poco di un vero esercito libico, come erroneamente si crede al di fuori del paese: un relazione di interessi, non così solida, passibile di rotture.
Dato l’impegno della comunità internazionale nel voler portare a termine le elezioni, ci si aspetta nel breve periodo un impegno maggiore per tentare di salvare l’intero processo. In questa direzione sembra andare la nomina di Stephanie Williams a Consigliere speciale del Segretario generale per la Libia e la sua immediata attività di mediazione sul territorio. La Williams ha, infatti, fin da subito avviato una serie di incontri con i candidati presidenziali – Haftar, Dbeibah e Bashaga, ma non Saif Gheddafi – e i vertici delle attuali istituzioni, al fine di ricucire le crepe del programma. Il futuro della Libia dipende dal ruolo che giocheranno gli attori esterni. L’influenza internazionale è stato un ingrediente decisivo fin dalla rivolta di febbraio del 2011. Oggi, che sono passati più di dieci anni da quel lontano 17 febbraio, si è arrivato a un punto tale che i foreign actors sono in grado di poter scegliere il futuro libico: pace o ritorno alla guerra. Tuttavia, il processo dall’esterno non si è rivelato così semplice. Costruire la “nuova Libia” si è rivelato difficile per tutti, dagli ambigui pacifisti portatori di valori democratici ai pericolosi promotori dell’instaurazione di un governo militare. In tutto ciò, chi continua a perdere è il popolo. L’avvenire del paese dipende dal mantenimento della pace. La costruzione della pace è un processo lungo e impegnativo, visti gli ultimi anni di caos, che deve essere radicato a livello locale e nazionale
Cosa accadrà dopo il 24 dicembre o, comunque, dopo le elezioni così volute da (quasi) tutti? Le domande poste da alcuni attori, in particolar modo della società civile, come Human Rights Watch, alla vigilia della conferenza di Parigi di novembre, sono state dirette e hanno espresso i dubbi su una tornata elettorale costruita senza una struttura solida in grado di resistere agli eventi: le autorità libiche attuali possono garantire un ambiente privo di coercizione, discriminazione e intimidazione agli elettori, ai candidati e ai partiti politici? Poiché le regole elettorali potrebbero escludere arbitrariamente potenziali elettori o candidati, come possono le autorità garantire che il voto sia inclusivo? Esiste un solido piano di sicurezza per i seggi elettorali? La magistratura è in grado di affrontare prontamente ed equamente le controversie relative alle elezioni? Gli organizzatori delle elezioni possono garantire che monitor indipendenti abbiano accesso ai seggi elettorali, anche in aree remote? L’Hnec ha organizzato un audit esterno indipendente del registro degli elettori? A nessuna di queste domande è stata data risposta.
Il cammino necessita di alcuni step fondamentali per il progresso e il consolidamento della pace. Sono questioni risapute e ripetute: la redazione di una Costituzione che tuteli tutti e che sia in grado di riunire le istituzioni politiche, economiche e finanziarie; la riforma economica e della governance nazionale e locale; la riforma del settore militare e della sicurezza, con conseguente creazione di un vero esercito statale; la giustizia di transizione deve essere ritenuta un’istituzione fondamentale per un futuro roseo e, infine, la riconciliazione definitiva tra le fazioni rivali. Senza il supporto internazionale, ad oggi, appare complicata la realizzazione di tutti questi obiettivi: il nuovo governo libico dovrà fare i conti con la pressione internazionale per poter raggiungere risultati necessari per un futuro migliore per il popolo libico. Il voto costituisce sicuramente un passo importante, ma non l’elemento principale. Ciò implica che il prossimo esecutivo, transitorio o eletto, dovrà per forza di cose poter contare su una comunità internazionale più unita e decisa: negli ultimi dodici mesi, in tutte le conferenze e incontri sulla Libia, troppa attenzione è stata data allo svolgimento della tornata elettorale e poca, invece, alle questioni strutturali del paese. Risultato: il rinvio del voto.
Mario Savina